Il set ideale per il film

Oggi la SS 1 è l’arteria che collega la Capitale al confine francese: 697,3 km per la statistica. Un puzzle continuo fra punti originari, nuove varianti (le più discusse nella viabilità nazionale), il verde delle colline e l’azzurro del mare, rettilinei che sembrano infiniti e curve strette a picco sul Tirreno o il Mar Ligure. Il tratto più suggestivo – personalissimo parere – è quello che va dall'etrusca e suggestiva Tarquinia (dove termina l’autostrada che parte dalla Roma-Fiumicino) – a Livorno evitando di rientrare nell’A12 a Rosignano Marittimo. Perché la A12 sarà pure comoda e veloce ma si è mangiata buona parte del vecchio tracciato della SS1: quello protagonista de Il Sorpasso, road-movie per eccellenza della commedia all’italiana, datato 1962. Lo percorrono, uscendo da una Roma ferragostana, un fenomenale Vittorio Gassmann e il giovane attore francese Jean-Louis Trintignant, a bordo di una Lancia Aurelia B24S Convertibile seconda serie del 1956 (e non come pensano molti una B24 Spider), icona firmata da Battista Pinin Farina
Verso Livorno

Se non ci si vuole addentrare ancora di più in Maremma, ecco che dal capoluogo si prende la SP 158 e si sbuca a Marina di Grosseto: il tratto costiero sino a Castiglione della Pescaia (con il centro storico regolamentare e un bel castello) e Punta Ala (una delle capitali della vela italica) è molto suggestivo perché si guida tra le più spettacolari pinete italiane, su lunghi rettilinei. Si rientra, come detto, sull'Aurelia in quel di Follonica e da lì passando per San Vincenzo si arriva a Castiglioncello, luogo cult della pellicola. In realtà, il regista Dino Risi lo dovette inserire per le insistenze di Gassmann che vi passava sempre le vacanze. Nella volata finale verso Livorno, fatta di tornanti spettacolari (ergo, calma con la guida sportiva), si incontra la curva di Calafuria – poco prima di Quercianella – dove avviene l’incidente fatale per lo studente impersonato da Trintignant. La città labronica è a una ventina di minuti.
La zuppa di pesce per eccellenza

Se dovessimo fermarci nel viaggio, si rischia la confusione tra cucina maremmana di costa e dell'entroterra oltre che toscana in genere. Qui di concentriamo solo sul caciucco che soprattutto a Livorno - che ne è la patria e dove rappresenta il simbolo culinario, storico, sociale - va preso seriamente come del resto fanno nella vicina Viareggio. Piatto apparentemente semplice, in realtà ricchissimo di sfumature e mai fedele a se stesso, visto che prevede tante varietà di pesce. Fa parte della grande famiglia delle zuppe di pesce mediterraneee. Un concetto che da Gibilterra a Rodi resta identico: utilizzare il pesce "povero", spesso di piccola pezzatura, nel modo più goloso possibile e senza complicazioni: si bolliva tutto insieme in un pentolone e via. Ma un tempo, più che povero, si trattava del pescato invendibile sulle bancarelle e più che alla golosità, i pescatori dovevano pensare a sfamarsi (e sfamare la famiglia), potenziando la parte ittica con gallette, pane vecchio, polenta. La ricetta originale del cacciucco (sulla cui origine abbondano leggende, ma probabilmente deriva dal turco küçük, che significa "di piccole dimensioni") prevedeva l’utilizzo tra le tredici e le sedici tipologie ittiche. Oggi se ne utilizzano meno ma dovrebbero almeno essere presenti le cinque tipologie come cinque sono le C che compongono il suo nome: pesce da taglio (senza spine) come palombo, rana pescatrice, nocciolo, gorgo; pesce da zuppa (quindi con lisca) quali gallinella, scorfano, pesce prete; i molluschi bivalvi come cozze e vongole; i cefalopodi vedi polpo, polipetti, seppia e calamari; i crostacei quali canocchie, scampi, gamberi. Lo spirito di campanile fa dire ai toscani che il cacciucco livornese è "di scoglio' e quello viareggino "di rena". In definitiva, quello di Livorno ha un sapore più deciso, si fa con il soffritto, c'è tanto aglio, il pesce non si sfiletta e in cottura si usa anche il vino. Quello di Viareggio è più leggero, niente soffritto, niente aglio e il pesce è tutto diliscato. A noi piacciono tutti e due, peraltro.
I luoghi giusti, non solo per il cibo

Anche sul vino c'è differenza: con quello livornese ci sta bene un rosso leggero, non troppo acidulo, servito a 18 gradi, magari un Chianti Classico Doc, tanto più che qualcuno ama metterlo nella ricetta per sfumare il pesce. Ma nei mesi più caldi ci sta bene un Bolgheri Rosato Doc. Con quello viareggino si può bere un vino rosso fresco oppure un bianco più strutturato. Tornando nella città labronica, segnatevi questi locali dove in carta, tra altri buoni piatti di pesce tirrenico, il cacciucco è valido: L’Angelo d’Oro, La Barcarola, Ristorante Le Volte, Fiaschetteria Da Pilade, Trattoria da Galileo Cantina Senese, Il Sottomarino. Dimenticavamo il 'bigino' per visitare Livorno: il quartiere La Venezia (con la Fortezza Nuova, il Fosso Reale, i fossati Medicei), la Fortezza Vecchia, il Monumento dei Quattro Mori, il Duomo, Piazza della Repubblica e il sorprendente Mercato delle Vettovaglie (tra i più grandi mercati coperti d’Europa) dove si trova il meglio delle produzioni toscane. Al di là che si poò fare uno spuntino piacevole, è come fare un corso di livornese in mezz'ora. Soprattutto nella zona delle pescherie: si respira l'aria di un luogo che non ha a niente a che fare con Firenze o le città d'arte come Siena o Arezzo. Piace, non piace. Ma è unica.
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