Pur essendo più grande della generazione di ragazzini di cui si sta parlando, mi sento comunque chiamato in causa, perché, avendo ventisette anni, sono sicuramente più vicino a loro che alla generazione dei miei genitori (classe '54 e '59), di cui molti di voi fanno parte, almeno approssimativamente. Intendiamoci, con i bimbi di adesso ho comunque poco a che vedere, un po' perché sono più grande di una decina d'anni e il mondo senza social e smartphone me lo ricordo benissimo, un po' perché sono sempre stato un po' "vecchio" dentro, se mi passate il termine, però credo di potervi comunque dire la mia.
Partiamo dal presupposto che, come diceva Piazza, la società è cambiata drasticamente. Punti di aggregazione come quelli di una volta e che, nel mio piccolo, ho vissuto anch'io (strada, bar, parchino, stadio, ecc.) sono stati drasticamente ridimensionati dall'avvento dei social e dalla digitalizzazione di massa delle interazioni. Esempio del cazzo: a pallone ho sempre fatto caa', ma, da quando ero bimbetto fino a quando ero già grandino (tipo sui sedici anni), ogni volta che potevo, quando finivo di studiare, scendevo in cortile (ma ci mandavano subito via a calci in culo, su questo punto ci torno dopo) o andavo in un parchino a caso e mi rifinivo per ore di partite con i miei amici, molti dei quali, non a caso, sono tutt'ora miei amici strettissimi, autentici fratelli; se non era pallone era qualcos'altro, ma ci siamo capiti. Conosco fratellini e cuginetti di amici e conoscenti, bimbi tra i sei-sette e i dodici-tredici, che, a parità di condizioni e di situazioni, i pomeriggi li passano a giocare online alla play con i loro amici. Badate bene, a Fifa e a CoD mi ci sono maciullato anch'io e per anni, ma era sempre un qualcosa di secondario, di fronte alla prospettiva di stare fisicamente col mio gruppo.
Ho fatto un esempio di merda per dire che i rapporti umani, ora come ora, sono vissuti in maniera un po' più superficiale, perché si sono trasferiti su piattaforme diverse dal mondo reale. I social li ho anch'io, come tutti i miei coetanei, ma li uso poco e con moderazione, proprio perché non ci sono nato dentro e mi sono formato quando ancora non esistevano, dunque so fare la dovuta decompressione tra realtà e apparenza.
Questa superficialità si ripercuote anche sull'attenzione; abituati a concetti espressi succintamente tramite teeet e storie su instagram, i bimbetti di oggi sono estremamente intuitivi, ma, d'altro canto, si sfavano molto più facilmente rispetto a quanto mi sfavavo io (e io, a scuola soprattutto, mi sfavavo molto facilmente e non ero proprio un tranquillone) e tendono a essere attenti per meno tempo. Io, da ragazzino, leggevo a sfare, divoravo libri a velocità pazzesca, ora è raro trovare qualcuno che legga seriamente (le eccezioni esistono e le conosco personalmente, ci tengo a dirlo perché generalizzare è una banalizzazione che mi ha sempre fatto caa' in tutti i campi).
Questo per quanto riguarda i bimbetti. Ritengo che non vadano demonizzati, in quanto sono sicuramente più vittime che carnefici, bensì capiti, perché va anche detto che sono diecimila anni che ci si lamenta tutti delle nuove generazioni, forse è anche fisiologico. Fermo restando che, quando assisto a certe scene, mi incazzo quanto e più di voi.
PERÒ
Però non è solo colpa dei social e di internet. Questa decadenza va attribuita anche ad altri fattori.
Partiamo dalla scuola: vengo da una famiglia in cui il dogma è sempre stato "studia, è il tuo dovere, devi fare solo quello. Se studi, sarai ricompensato, perché troverai un bel lavoro, pagato tanto, con molte gratificazioni e con una posizione sociale ragguardevole".
Trascurando il fatto che studiare mi ha sempre fatto caa', io ci ho provato a conformarmi a questo dogma, ma avete presente in che condizioni versi la scuola? Avete presente il livello medio degli insegnanti di oggi? Io ho fatto una scuola che si autoproclama tutt'ora come la più prestigiosa della città, ma non credereste alle cose che ho visto. Evito i dettagli, perché non ho voglia di beccarmi una querela, ma vi posso dire che mi ma', una che per lo studio ci vive tutt'ora, dopo aver passato anni a darmi contro e a farmi il culo perché mi lamentavo della situazione, dopo che ha preso coscienza anche lei di quest'ultima è passata dalla mia parte e si è detta schifata e umiliata da ciò che vedeva. Se mai si farà una cena, vi racconterò cose che vi faranno cascare la mascella e che, forse, vi faranno riconsiderare alcune posizioni. Anche i miei coetanei, non solo livornesi, che hanno fatto altre scuole mi hanno raccontato di cose simili, con insegnanti a dir poco inadeguati, sia sul piano professionale che sul piano umano (insegnare non è solo leggere tre cazzate a venti ragazzi, eh...), e vi sto parlando di gente che ha fatto licei come di ragazzi usciti dal geometri, dunque di una vasta platea.
Insomma, i ragazzi sono cambiati, ma anche la scuola non è più quella di prima. Un tempo, come diceva giustamente Plinio, uscivi dalla scuola MEDIA e ne sapevi di più di certi diplomati con 100 al Classico di oggi, ora se ti va bene non disimpari. Alle medie avevo un'insegnante di italiano che non dava mai più di più che buono, se ti dava distinto volavi a un metro da terra, non a caso è stata la mia migliore di sempre e l'unica che mi abbia davvero insegnato qualcosa, ma ne ho avuta una sola così in tredici anni di scuola.
Vengo alle prospettive e alla società nel suo complesso, per chi non si è ancora tagliato le vene per la lunghezza
Avete presente il discorso che mi faceva mi ma'? Anche se studiare ti fa schifo, fallo perché ne varrà la pena?
Ecco, tredici anni di scuola, cinque di università e circa tre di tirocini, pratiche e studi vari dopo, posso dirvi tranquillamente, parlando a nome di tutta la mia generazione, che NON È PIÙ COSÌ. Quel discorso andava bene per gli anni '80, quando l'economia era in piena espansione (con vaini che non esistevano, tutto a debito, troppo facile così), ma ora, purtroppo, i tempi sono cambiati. Davanti a noi non ci sono prospettive, a parte la certezza che staremo molto peggio dei nostri genitori.
Il maestro Spirit, che ha l'età di mio padre (e non di mio nonno, come qualche malandrino stava sicuramente pensando!

), ha ragione quando dice che noi abbiamo i televisori al plasma, i viaggi e i videogiochi, mentre lui e i suoi coetanei avevano molto meno... ma io mi permetto di ribattere dicendo che col televisore al plasma, il viaggio e il videogioco ci fai poco, quando sai che, nel migliore dei casi, ti sei fatto il culo per tutta la vita per passare i prossimi vent'anni sballottato in qua e in là, tra un contratto precario a 800€ al mese e l'altro, vessato e angariato da un sessantenne con la terza media che non vuole saperne di mollare il posto e che ti tratterà da schiavo anche quando avrai superato i quaranta.
A meno che tu non voglia entrare nel giro infinito dei concorsi pubblici, studiando fino a oltre i trent'anni per un posto da impiegato a 1200 al mese, ovviamente se vinci.
ATTENZIONE: io non vengo da una famiglia di nobili o di ricchi, mio nonno, dopo non so quanti anni all'Ilva, si spaccava il culo in falegnameria e tornava a casa col naso che gli colava per le esalazioni del legno, quindi COL CAZZO che mi permetterei mai di pisciare su 1200 euro al mese, dicendo che non sono uno stipendio dignitoso... però vi faccio una domanda: lo vivreste come davvero dignitoso, se aveste studiato per vent'anni per ottenerlo? Non avreste ambito a qualcosa in più? E non per comprare il televisore, ma magari per mettere su famiglia e farla stare in una casa più grande di un bilocale.
Tutto questo se ti laurei in legge o in economia, perché se, puta caso, decidi di fare storia, filosofia o cose simili, se ti va di lusso fai il commesso al Conad e arrotondi con le ripetizioni. Sto parlando di storie vere, di gente di trent'anni che sta a casa con mamma e babbo perché non trova di meglio.
Se vuoi davvero un impiego che dia un senso autentico a una vita passata sui libri, devi farti la magistrale o un master (sempre se hai una laurea "spendibile", eh, sennò ti ciucci i diti) alla LUISS, alla Cattolica o alla Bocconi, pagando anche 10.000 euro (no, dico, diecimila) all'anno, così da essere inserito da loro nel mondo del lavoro.
Quarant'anni fa, mi ma', appena uscita dal Classico di Portoferraio (non da uno di Roma da pariolini), venne chiamata dalla Banca d'Italia, che le offriva un posto a tempo indeterminato (!!!), di quelli a cui ora puoi ambire se vinci un concorso coi controcazzi da dieci posti liberi.
Tra i ragazzi di oggi, quindi, c'è tanta insoddisfazione anche perché, banalmente, sentono di essere stati presi per il culo dalla società, dagli insegnanti, dalla famiglia, tutti soggetti che hanno promesso loro un determinato avvenire, senza mantenere la parola e lasciando loro, in compenso, debiti da pagare per l'eternità. Questo giustifica spaccare le macchine e pisciare nei portoni? No, col cazzo. Dovrebbe indurre a qualche riflessione che vada oltre il classico "noi s'era meglio, loro sono scemi"? Secondo me, sì.
Il tutto in un Paese in cui i giovani non contano un cazzo, al lavoro come nel mondo accademico, dove nei parchi ci sono scritti cartelli con scritto "vietato giocare", dove se fai due passaggi in un cortile alle quattro di domenica pomeriggio scende qualcuno a urlarti addosso, dove devi lasciare sempre fare ai grandi, dove sei e sempre sarai considerato un bambino che non si sa levare un dito dal culo e che, quindi, non è degno di alcuna fiducia, dove le prospettive lavorative sono quelle che dicevo prima...
Secondo voi, perché le nascite sono così in calo e gli under 35 scappano a gambe levate? Un motivo ci sarà? Ho conosciuto un ventottenne laureato al Sant'Anna in non ricordo cosa, tipo ingegneria biomedica, un cranio, che piangeva perché si sarebbe trasferito all'estero; "io sono italiano, questa è casa mia, ma mi sono ammazzato sui libri per sentirmi proporre 1000 al mese per un anno, laggiù me ne offrono il triplo a tempo indeterminato, che cazzo devo fare?".
Insomma, quelli che spaccano le macchine in Via Cambini sono teste di cazzo e come tali vanno trattati, personalmente non ho alcuna remora nell'auspicare sanzioni pesanti nei loro confronti, ma mi sento anche di dirvi che il quadro è un po' più complesso di così.
"Hai ragionato un branco, ma non hai proposto mezza soluzione", mi direte. Avete ragione, ci provo:
bisogna ripensare la scuola da cima a fondo, trasformandola da distributore di nozioni a palestra per la mente e per il vaglio critico, perché è quello, il vaglio critico, che manca sempre di più alla gente. Discernere il falso dal vero, la cazzata dalla realtà, la sparata fine a sé stessa dalla soluzione del problema. E bisogna cambiare radicalmente approccio con i giovani: se avessi un figlio, lo esorterei a fare quello che gli piace di più, strabattendosene dei vaini, della posizione sociale, ecc., perché la favola del "studia ingegneria, così poi ti realizzi" servirebbe solo a trasformarlo in un essere frustrato e pieno di rabbia. Se deve essere decrescita, che sia almeno serena e consapevole.