La sensazione, quando l’arbitro ha fischiato la fine della partita contro il Maccarese al 97esimo, è stata quella di essersi svegliati da un incubo. Avete presente uno di quei sogni in cui cercate di mettervi in salvo da un pazzo feroce, che vi insegue con una scure insanguinata per farvi a pezzi? Uno di quei sogni dove voi cercate disperatamente di fuggire, ma vi rendete conto di avere le gambe di piombo e più vi muovete e più rimanete fermi?
Ecco, oggi abbiamo riaperto gli occhi giusto in tempo, un attimo prima che la mannaia calasse sul nostro collo. All’Ardenza è andata in onda la classica partita dove per il Livorno tutto si stava allineando per terminare in una tragedia sportiva, sfiorata solo per miracolo.
Basti pensare che i laziali hanno giocato gli ultimi 6 minuti col portiere volante, vale a dire col numero uno indisturbato, stabilmente nella metà campo amaranto.
Basti pensare che per due volte ci ha salvato la bandierina del guardalinee, quando ormai la palla era già rotolata in fondo al sacco e che Pulidori, nel secondo tempo, ha compiuto un mezzo miracolo su un tap-in a botta sicura dell’attaccante avversario, dopo che la traversa ci aveva già messo una pezza al posto suo, che si era fatto sorprendere fuori dai pali su un tiro innocuo.
Basti pensare all’ultimo minuto di gioco, quando i palustri hanno calciato una punizione dal limite, l’ennesima, col pallone che ha sfiorato il palo alla destra del portiere del Livorno, terminando fuori.
E i nostri valorosi giocatori in tutto questo?
Tolti i primi quindici minuti, sufficienti per passare in vantaggio e illudere i tifosi amaranto, il Livorno ha consegnato la partita agli avversari, annaspando come sempre, più di sempre.
Il famoso 4-2-3-1 a cui ormai siamo tutti affezionati come ad un vecchio zio mezzo scemo, ci ha consegnato al boia, scoprendo le fasce e mettendo in difficoltà i due di centrocampo, mai in grado di contrastare il palleggio degli avversari.
Il primo tempo è stato una sofferenza continua ed è culminato col pareggio della Maccarese, dopo un intervento a vuoto di Luci ed una classica palla indietro dal fondo, su cui nessuno dei nostri è stato pronto ad intervenire.
La ripresa è stata un turbinio di sostituzioni, in cui Angelini ha pensato soprattutto a difendere il pareggino. Probabilmente era l’unica cosa che si potesse fare, considerando che la nostra è una squadra lenta, impaurita, stanca nella testa prima che nei polmoni e con i nervi a fior di pelle.
Tanto per cambiare abbiamo assistito all’ennesimo capitolo dell’ormai stantio “Vantaggiato contro tutti” allo scadere del primo tempo.
È stato necessario l’intervento di una decina tra compagni, accompagnatori, uomini delle barelle e Toccafondi per placare l’ira funesta del 10 amaranto, che per gradire, ha raccattato l’ennesimo giallo che gli farà saltare la partita di andata della finale contro il Pomezia, nostro prossimo avversario.
Certi giocatori dovrebbero fare la differenza a nostro favore ed invece, duole dirlo, immancabilmente cadono in tranelli puerili e si espongono a figure non certo edificanti.
Una parola vale la pena spenderla per i folli che hanno animato la curva dalle 16.30 di questa torrida domenica 5 giugno e che negli ultimi 20 minuti, col loro sostegno incessante, hanno accompagnato la squadra fuori dall’incubo.
Per il resto, tornando a parlare di calcio giocato, crediamo che l’unica cosa che il Livorno possa fare è giocare un calcio più elementare, una roba tipo un 4-4-2 molto coperto, per difendere e ripartire in contropiede. Di sicuro non si può prescindere da Apolloni, Pecchia, Petronelli e Russo.
Bisogna giocare per portare a casa la pelle e poi spendere le riserve, se ne abbiamo, a Pomezia. Scordiamoci il calcio dominante, lasciamo perdere le trame, i cambi di gioco, il possesso e amenità varie: difesa e contropiede, come nella più solida tradizione pedatoria italiana. Il resto lasciamolo a chi se lo può permettere.
Alè Unione!