Giuseppe Valaperti e lo stadio Armando Picchi

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Introduzione

Quasi per caso sono venuto a conoscenza di questa storia che vi illustrerò, anche se è molto probabile che tanti livornesi veraci ne sappiano magari più di me.

Lo scorso anno, nella scuola di teatro che frequento a Prato, abbiamo fatto un laboratorio sulla lettura espressiva ed alla fine del percorso, abbiamo dovuto raccontare una storia a “Km 0”, ovvero riguardante il territorio pratese.

Mi sono scervellato per trovare qualcosa che unisse Livorno e Prato e mi sono imbattuto nella storia di Giuseppe Valaperti, grande imprenditore vissuto tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, che amava la nostra città e fece molto per Livorno e i livornesi.

A causa del covid, questo monologo non lo recitai ed è rimasto sul mio pc, ma ora voglio condividerlo con voi, anche per rendere merito a questa persona poco conosciuta nella nostra città; solo il parcheggio del campo scuola porta il suo nome, fateci caso nella prossima partita casalinga.

Sarebbe interessante sapere se il presidente Toccafondi sa qualcosa di questa cosa, nel caso gliela faremo leggere. 😀

Il monologo l’ho scritto interamente io ed è tratto dal libro “Un pratese innamorato di Livorno. Giuseppe Valaperti e la nascita di Prato a Mare e dello stadio” di Giovanni Laterra. Le immagini che vedrete in allegato sono contenute all’interno del suddetto volume.

Se questa storia vi incuriosirà, visto che c’è molto altro rispetto a ció che ho scritto io, potrete acquistare il libro di Laterra, è in vendita anche su amazon.

La storia di Giuseppe Valaperti e lo stadio Armando Picchi di Livorno

Lunedì 9 Ottobre 1933: allo stadio Armando Picchi di Livorno, allora intitolato a Edda Ciano, si gioca la 5° giornata del campionato di serie A stagione 1933/1934.

Oltre 10.000 tifosi livornesi festeggiano la netta vittoria per 3-0 nel sentito derby contro la Fiorentina. Ma non è tanto la vittoria contro i cugini che fa gioire i tifosi amaranto, ma che per la prima volta hanno potuto assistere ad una partita casalinga della loro squadra nel loro stadio. Sì perché l’attuale Armando Picchi di Livorno venne inaugurato proprio in quella 5° giornata di campionato.

Sono in pochi però a sapere che una bella parte di questo merito sia di un imprenditore di Prato, che ha costruito la sua fortuna nella sua città ma divise il cuore con Livorno, dove costruì molte opere ancora presenti. Per cui io, un Livornese trapiantato a Prato, sono qua per raccontarvi la storia di Giuseppe Valaperti: il Pratese innamorato di Livorno.

«Se un amico per necessità ti chiede soldi, se lo puoi fare regalaglieli, altrimenti lo perdi come amico». Era questo il mantra che Valaperti ripeteva in continuazione ai figli. Eppure, Giuseppe, nato a Prato nel 1868, la miseria l’ha conosciuta. Ma non l’aveva dimenticata e ne aveva tratto saggi insegnamenti.

Valaperti lasciò la scuola in terza elementare ed iniziò a lavorare come cordaio, ovviamente, in Piazza Mercatale. Si perché la caratteristica piazza pratese a forma di mandorla è stata sin dal medioevo la sede del mercato e delle fiere cittadine. La vita ordinaria della città di Prato ha sempre ruotato intorno alle attività artigianali della piazza: industrie del rame, lanifici, falegnameria.

Ma ben presto abbandonò i cordami per passare alla lana, del resto erano gli anni in cui l’industria tessile a Prato iniziava a fiorire e fu una scelta felice. Nel 1893 fondò il suo lanificio dove ottenne enormi guadagni e lo portò ad essere uno degli imprenditori più facoltosi ed in vista dell’epoca. Lo potremmo definire il prototipo di “self-made man” italiano: un personaggio emblematico di una generazione che a cavallo fra otto e novecento, dal nulla, seppe costruire grosse fortune.

«Se un amico per necessità ti chiede soldi, se lo puoi fare regalaglieli, altrimenti lo perdi come amico». Valaperti non ha mai dimenticato le sue origini e la povertà: ad ogni manifestazione si comportava sempre come persona sociale, si adoperò costantemente per opere di pubblico bene ed era attento alle esigenze dei suoi operai. Infatti, per ognuno di loro, costruì una casa a riscatto ed inoltre fu uno dei primi in Italia ad organizzare la mensa nella propria azienda.

La fabbrica, ma soprattutto la famiglia, furono per lui lo scopo maggiore della sua esistenza: affidò le figlie a dame di compagnia affinchè insegnassero loro l’arte della pittura e del ricamo. Ben diversi progetti scelse per i maschi, che portò giovanissimi in azienda per collaborare con lui. Non possiamo biasimare questi giovanotti se ogni tanto, magari dopo qualche serata libertina, non avevano molta voglia di alzarsi dal letto di prima mattina. Tuttavia il Valaperti, esigentissimo, non si peritava a svegliarli a forza di catinellate d’acqua in faccia.

La maggior parte dei profitti dell’azienda tessile venne investita per costruire un solido quanto vasto patrimonio immobiliare che venne suddiviso per tempo tra i figli e i parenti più stretti, ma sempre rispettando i suoi principi.

Nella sua Prato vennero edificati importanti palazzi ancora presenti: Palazzo Bizzocchi sede attuale dell’unione commercianti, l’attuale pretura, palazzo Novellucci, in pieno centro storico, dove andò ad abitare con la famiglia.

Ma è a Livorno dove riuscì dare sfogo a quella che i suoi operai definirono, amichevolmente, la “malattia del mattone”. È a Livorno dove, nel Luglio del 1928, inizia la creazione di quella che verrà ricordata come la “Prato a mare”.

Prima formalizzando l’acquisto della bellissima Villa Basilica: più di 77K metri quadri di terreno situati vicino al mare, tra l’accademia navale e l’ippodromo. Una villa ad uso familiare, con scuderie, casa per il custode e un podere. A questa abitazione volle dare un’impronta pratese: la facciata fu ristrutturata in modo da ricordare la facciata di Palazzo Novellucci, la sua abitazione di Prato, e lo stemma della famiglia è ancora conservato lì in bella mostra.

Prato rimane la sede principale degli affari di Valaperti, mentre Livorno inizialmente solo il luogo dove trascorrere in tranquillità lunghi periodi di villeggiatura con la famiglia: sorseggiando un aperitivo in Baracchina Rossa, tutt’ora luogo principale della movida estiva; prendendo il sole ai bagni pancaldi, lo stabilimento balneare più storico della città dove i giovani nati tra gli anni ’80 e ’90 come me hanno trascorso le loro estati; facendo snorkeling tra le limpide acque del Romito, la costa livornese che nelle caldi estati è sempre sovraffollata dai cittadini labronici e anche qualche “ospite” di terre pisane, fiorentine, lucchesi.

Ma Livorno è una città giovane, siamo in piena bellé epoque, il popolo labronico è passionale e sa contraccambiare un amore corrisposto, per cui il Valaperti cede totalmente alla sua febbre del mattone e inizia a dare origine ad un vero e proprio quartiere residenziale, che verrà ricordato come la “Prato a mare”.

Vicino la sua dimora di Villa Basilica, nella zona antistante l’accademia navale, vengono costruite 47 ville in stile Liberty, una di fianco all’altra, tutte simili, tutte con una torre di uguale altezza. Tutte, tranne una: si dice che la villa davanti l’accademia abbia la torre più alta su richiesta della regina di Savoia. Durante i suoi periodi di villeggiatura voleva controllare le scorribande notturne del figlio cadetto. Non ci sono documenti che provino ciò, ma quando ci sono di mezzo personaggi famosi le leggende non mancano di certo.

Livorno è sempre stata una città sportiva, è tutt’ora la città più medagliata d’Italia, per questo Valaperti volle regalare un pezzo di terreno della sua tenuta e 50mila lire come contributo per edificare lo stadio di calcio. Stadio che avrebbe visto il Livorno sfiorare lo scudetto contro il Grande Torino nel dopoguerra e giocare la coppa UEFA negli anni 2000.

Decise per ultimo anche di donare una bellissima statua di bronzo raffigurante Nettuno, realizzata da una fonderia pistoiese, che era la copia esatta del più famoso Nettuno presente a Bologna nell’omonima piazza. Prima la guerra, poi eventi metereologici importanti la devastarono, ma dopo un restauro, nel 2000, il Nettuno è stato posizionato davanti ai bagni pancaldi, che il Valaperti tanto amava frequentare con la famiglia, dove ancora oggi scruta arcigno non si sa se il mare o i passanti che affollano il lungomare nelle sere di estate.

Come molte storie su grandi personaggi che meritano di essere raccontate, anche quella di Valaperti non è tutta rose e fiori.

La stessa fortuna avuta negli affari non gli sorrise nella vita privata, funestata da tragici eventi: perse la prima moglie, poi anche la seconda portata via dalla spagnola. Perse i suoi due figli maschi, avuti dalla prima moglie, per una setticemia e un tumore. Proprio quei due figli che venivano svegliati a secchiate d’acqua per andare con lui in azienda.

Da allora non fu più lo stesso, non riuscì più ad avere il ruolo attivo come aveva sempre voluto, non riuscì a tramandare il mestiere ai nipoti. Scelse di regalare tutto ai suoi parenti più stretti, soprattutto nipoti, e si ritirò in un modesto appartamento ricavato da un’ala del maestoso Palazzo Novellucci di Prato.

Decise, nel 1951 all’età di 83 anni, che aveva tutto il diritto di tornare dai suoi figli e si spense così, assistito dalle figlie e dagli innumerevoli nipoti.